giovedì, ottobre 02, 2014
PotPot di Eronda
Mario De Donà (1924- 2009), bellunese, conosciuto anche come Eronda, era un graphic designer, un creatore di prodotti di comunicazione visiva, un manipolatore di testi e immagini. Eronda si divertiva assai a comunicare in uno spazio fluido dove spesso la parola diventava immagine. E il surreale disegno a sua volta segno, icona, pallottola semplice per far arrivare il messaggio. Grafico, “mestiere di chi scrive per immagini”, definizione regalatagli in una prefazione.
Era dotato di un umorismo arguto e leggero, naturale, espresso nella forma, non cercato nella battuta verbale e tanto meno ostentato. Tutte le sue tavole ridono e si fanno beffe delle cose del mondo intorno, talvolta con un po’ di poesia (vedi la summa della sua opera: il volume Encyclopedia grafica).
La tecnica era davvero insolita: carte e cartoncini ritagliati, strappati, bucati, persino graffiati e bruciacchiati, collage. Strumenti primordiali rigirati con creatività, come se, dopo quella immaginifica, avesse pure una necessità fisica di manipolare anche i materiali. Altra epoca, pre-computer, del resto nella professione faceva tutto a mano, con squadra, compasso e china. E l’arrivo della grafica informatica a bassi costi e di svelta realizzazione infatti lo mandò in crisi.
Dall'umorismo grafico alla forma strip il tragitto era quasi niente, un terreno naturale in quell’epoca d’oro per le strisce. Eronda ci prova come tanti altri con Linus e con una piccola acerba striscia va nello spazio dei lettori ma poi più niente (in buona compagnia, stessa fine di Cavezzali e altri). Ripiegherà su alcuni giornali minori e di settore, allora davvero gli spazi per le comic strip non mancavano.
“Potpot” è una striscia curiosa pubblicata nel giornalino ufficiale dell'Automobile club Treviso nel 1972. Dedicata al boom della motorizzazione in Italia, tranne qualche riferimento alle amate vecchie lire, non ha nulla di datato in realtà. Le paturnie automobilistiche sono le stesse, la variante urbana dell'Homo Sapiens , "l’Homo Strafottentis", infesta ancora le nostre strade. Ci farà compagnia per alcuni mesi qui su Balloons, per celebrare i novanta anni dalla nascita di Eronda, come vorrebbero gli eredi e in particolare il figlio Marco.
A proposito: una precisazione e un ringraziamento. Di Eronda non sapevamo proprio un accidente. È stato proprio Marco De Donà a inviarci le tavole consentendone la pubblicazione. Con passione sta recuperando i lavori del padre rilanciando la memoria di un talento rimasto ai margini di un’epoca e forse non fortunato come avrebbe meritato. Continuiamo a vivere nella memoria di chi ci ha amato, ci verrebbe da chiosare, con una citazione che purtroppo non sfigurerebbe tra quelle del dannato Facebook.
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venerdì, luglio 24, 2009
Frank and Frank di Chris Appelhans
La semplicità e il minimalismo iniziano dall'intestazione della serie. Stesso nome a tutti e due i protagonisti: Frank and Frank. È una striscia silente, l'unica indicazione verbale arriva dai titoli delle tavole. Il resto è affidato all'espressività del disegno essenziale e agli occhi e alla mente dell'osservatore, atteso a dilatarne i contenuti.
Così lineare e povera. Eppure questa comic strip ha un filo di connessione con il film Coraline, l'opera più complessa e fantastica sugli schermi ora (se ne parlava nel retrobottega dei commenti qui su Balloons).
LEGGI TUTTO L'ARTICOLO DEDICATO A FRANK AND FRANK....
Frank and Frank di Chris Appelhans racconta di sentimenti basilari: amicizia e amore. Un orso goffo e grande, un ragazzino. Appena abbozzati: tutto si gioca su pochi tratti carichi di espressività. Il disegno appare schizzato, con qualche punta di colore brillante ogni tanto. Un divertissement leggero, poetico e giocoso.
In realtà Chris Appelhans è un artista americano con i fiocchi, nato nell'Idaho e trasferitosi poi in quel ombelico del mondo che è Los Angeles. Qualcosa decisamente di più di un illustratore: con termine un po' snob uno come lui viene definito "concept artist" (con qualche escursione persino in campo musicale). Collabora per l'animazione nei Pixar Studios, ha un portfolio di prestigio già ricco e variegatissimo. Dalle sue matite arrivano alcuni personaggi e scenari fantasiosi creati per Monster House, City of Ember, e infine lo strepitoso gioiello Coraline. Passa con disinvoltura da stili e complessi temi ultra dark all'ideazione di reami più naif.
Frank and Frank è il suo angolo di innocenza mai perduta. Parla un linguaggio universale. Sta tutto su una linea.
Ogni tanto passa un'altra bambina oggetto dei sentimenti confusi del ragazzino Frank.
La striscia è proprio tale, quasi irriproducibile sugli schermi perché si sperde pensata lunga lunga in orizzontale (qui per impaginarla l'abbiamo dovuta spezzare su più linee, vedi gli esempi originali nella pagina su froghatstudios.com). Tant'è che la raccolta su libro di Frank and Frank ha la forma sfiziosa di un piccolo scaffale largo più di mezzo metro.
Da gustare con calma la striscia intitolata Seasons: Appelhans mette su il teatrino con una piccola evoluzione multimediale aggiungendo musica e un arcobaleno di colori.
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martedì, luglio 21, 2009
JEREMYVILLE
Jeremyville e basta. È un artista, un marchio, una serie infinita di prodotti, dagli art toys alle scarpe, dai disegni su magliette, borse, copertine di libri e dischi ai murales. Un nome, un sito web, un luogo virtuale, un punto di riferimento per una rete enorme di collaborazioni. In questo caso si può ammettere che il nome dell'umano che ha dato via a tutto questo diventi irrilevante.
Di lui qualcosa però si sa, le sue apparizioni in Italia (una mostra lo scorso aprile) cominciano a intensificarsi, XL de La Repubblica gli ha dedicato un servizio nel numero di agosto 2008. Australiano di Sidney, ha studiato architettura ma ha cominciato a sfogare la creatività senza aver frequentato alcuna scuola, inventandosi un villaggio virtuale popolato di buffi e teneri mostriciattoli.
CONTINUA A LEGGERE E VEDI LE TAVOLE DI JEREMYVILLE.....
Ha girato il mondo - nessuna voglia di legarsi ad un ufficio o di lavorare per altri - facendo poi della collaborazione una ragione di vita. La lista lunghissima inizia (anche per ragioni alfabetiche) con un musicista geniale come Beck. La sua storia è un esempio di vita per chi ancora crede all'artista individualista, magari maledetto e con un pessimo carattere già dalla mattina presto. Grazie a questa attitudine mentale e al tempo instancabile passato a scrivere mail si è infilato dappertutto, pubblicità, animazioni, rapporti con grandi marchi internazionali.
Qualcuno vi dirà che tutto questo è conseguenza di internet. In realtà anche nel medioevo se non appartenevi a una corporazione, confraternita, magari anche un misero villaggio, se un principe illuminato non ti proteggeva eri un uomo morto. Isolato. Il web ha solo dato un'accelerata enorme e fenomeni come Jeremyville non fanno che sfruttare il profondo significato di internet. Una rete di interconnessione tra intelligenze con interessi simili come mai l'avremmo immaginata.
Per chi ha voglia di approfondire su Jeremyville c'è il sito e su carta due corposi e supercolorati volumi con dvd, poster e adesivi inclusi. Qui ci interessano le sue curiose comic strip.
C'è del miele nelle sue tavole, anche tanto, ma è cristallizzato in sogni e incubi affascinanti, in forme incantevoli e imprevedibili. Atmosfere di felicità, speranza, talvolta ira, miraggi. Hanno natura di comic strip per la ricercata sintesi. Essenziali nel disegno e nella colorazione, bizzarre nelle idee, quasi sempre silenti. Volutamente. L'autore vorrebbe fossero aperte ai significati che i lettori vogliono trovarvi o aggiungervi. E racconta che gli piacerebbe fossero lette come poesie, passando con calma da un quadro all'altro, cercando chiavi di riflessione e interpretazione. Lui stesso ne propone alcune ma specifica: sono solo i pensieri di una persona. Anche nelle strip conferma l'indole da artista socievole.
(L'interpretazione di Jeremyville per questa tavola The End: "La fine è talvolta l'inizio di un lungo viaggio, sulla strada per chi sa dove. Il viaggio più lungo inizia proprio con un passo. Devi solo seguire i tuoi uccelli")
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martedì, giugno 09, 2009
Pagine di comic strip: Il Caffè di Monza e Brianza
Abbiamo scovato un bel giornalino mensile gratuito, di quelli che trovate nei bar e nei negozi, ricco di fumetti che convivono tranquilli tra recensioni e segnalazioni di spettacoli ed eventi cittadini. Si chiama Il Caffè di Monza e Brianza.
La free press italiana ha avuto un'espansione notevole negli anni scorsi ma non ha mai brillato per creatività e coraggio. Spesso i giornalini che rimediamo nei sottosuoli e nei bar delle città sono brutte copie della stampa a pagamento. Ovvio che debbano vivere di pubblicità ma da qui a trasformarsi in meri contenitori di inserzioni con le informazioni che svolgono il ruolo di patate e verdura ce ne passa. Per le comic strip, le vignette e il disegno, intese come forme di classico intrattenimento giornalistico, sono poi un'occasione perduta. Tra i più diffusi, solo Metro, proprio perché derivante da un modello non italiano, continua a ospitarne con successo. Non poteva essere diversamente: spesso le redazioni dei free press nascono dagli scarti della stampa nazionale per fare grossi profitti ottimizzando al massimo sui costi. Dalla serie B del nostro giornalismo non ci si poteva attendere di più.
Leggi il resto dell'articolo e vedi alcune strip….
Il caso del piccolo mensile di Monza è diverso. Il direttore responsabile è un personaggio che ha amato i fumetti per tutta la sua vita: Paolo Telloli.
Punto da chiarire subito: Il Caffè di Monza e Brianza non è un periodico di fumetti, non trovate in prima pagina la solita guerriera sexy che rompe il culo a tutti. È un pacifico mensile di informazione. E proprio per questo ci piace. Le strisce stanno tra tipici contenuti di un free press. Un editoriale, un articolo su qualche tema cittadino, delle sezioni per libri, cinema, teatro, musica, segnalazioni di spettacoli, diritti dei cittadini, scadenze, ricette. Ben scritti e impaginati in un piccolo formato A4 dalla grafica curata. Manca l'oroscopo e solo per questo meriterebbe 100 punti di bonus. E poi i fumetti, a puntate o nella forma comic strip, messi qui e là, a svolgere il ruolo di intrattenimento. La vita civile dei fumetti, quella non emarginata, come è sempre stato nella tradizione originale e popolare della pagina delle comic strip nei quotidiani. "La normalità", ci verrebbe da dire, constatando con amarezza che della normalità non si parla se non nelle situazioni anomale.
Ovvio che la mano di Telloli si sente. Ad esempio nella scelta di richiamare e offrire al mercato le inserzioni pubblicitarie accompagnandole spesso con illustrazioni, come nell'esempio sopra dove la reclame di uno studio dentistico è supportata da una tavola di Fulber (non a caso, storicamente Telloli è uno dei suoi mentori).
[Sui rapporti tra pubblicità e comic strip vedi i numerosi esempi mostrati su Balloons].
In una pagina sono raccolte alcune comic strip, non molto conosciute. Con una scelta condivisibile vengono pescate dai cassetti di Tiberio Colantuoni due serie. L'autore è scomparso improvvisamente il primo gennaio del 2007 e avrebbe meritato maggiore notorietà. La prima Prato e Asfalto è dedicata ai problemi ecologici.
La seconda, Nero su Bianco, è un esperimento, una striscia silente realizzata sul contrasto dei due colori. Come raccontava Colantuoni in un'intervista rilasciata ad Ink (periodico di fumetti curato da Telloli), "quando si lavora da tanto tempo in questo settore le idee nascono continuamente, si sviluppano e se non ci sono editori per proporle si lasciano nel cassetto in attesa di cambiamenti".
La terza striscia, Diabolic, come si ricava dal titolo, è una parodia casereccia del celebre personaggio delle sorelle Giussani. Anche questa ben disegnata e costruita su un umorismo semplice. Sino ad ora era apparsa sui fogli de "La Gazzetta di Clerville" del Diabolik Club, roba ovviamente per addetti al culto del "re del terrore". Gli autori sono Fogo e Ratti, alias il disegnatore Dimitri Fogolin e lo sceneggiatore Stefano Ratti.
Di questa serie esistono già due raccolte praticamente autoprodotte da Fogo inventandosi una casa editrice con un vivace gruppo di amici, la Fame Comics.
Diabolic non è l'unico misfatto nel genere comic strip della simpatica copia Fogo e Ratti. Fame nera è una striscia ambientata nel terzo mondo dove mischiando le carte e parlando di negretti e stereotipi vari nel genere negritudine i due autori cercano schiaffoni dai paladini del politically correct. I protagonisti si chiamano Tarek, Babù, Imana, Amebu, tutti nomi tratti da vere novelle Nubiane e Nigeriane.
Altri esempi della serie in questa pagina di Kronolab. Il sito è il laboratorio creativo di Dimitri Fogolin. Ci piace il suo modo di disegnare, il tratto è sicuro e professionale, ha una buona varietà di registri e stili, l'inventiva non manca.
Tornando al Caffè di Monza e Brianza, c'è un'altra pagina che volevamo mostrarvi. Si chiama Il Caffèlatte e rifà il verso a quelle introduttive del leggendario Corriere dei piccoli, a volte con tavole e didascalie in rime baciate, altre con storielle silenti come nell'esempio sotto.
Nei due riquadri vicino alla testata c'è lo spazio per inserzioni pubblicitarie, secondo un tradizionale stile giornalistico. In attesa di venderlo Telloli ci ha inserito la reclame di Ink. È un trimestrale che pubblica dal 1994 con pazienza e costanza, tratta di critica fumettistica affrontando di volta in volta un genere specifico. Con tenacia e orgoglio per la buona qualità, lo vende sotto un'altra sua etichetta, la Lapis Lapsus Edizioni, nelle fiere e nelle varie manifestazioni del fumetto, oppure per corrispondenza.
Paolo Telloli è un piccolo elfo del sottobosco editoriale fumettistico, senza grandi numeri e senza molta pecunia, ma dotato di tanta passione, cultura e conoscenza di questo ambiente (non dimentica nessuno e una volta entrati in contatto con lui vi manderà gli auguri di Buon Natale per sempre). Ha iniziato l'attività di fumettista nei primi anni '70, esordendo sulle pagine de L'Intrepido. Tra i suoi lavori originali merita la segnalazione la serie dell'antiquario H.W. Grungle. È autore di un buon abbecedario per l'apprendista dei fumetti. Negli ultimi vent'anni (va ormai per i 61) ha spostato la sua attività nel campo della pubblicità.
Ora è arrivata la scommessa del free press. I nostri migliori auguri. Ad averne come lui.
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mercoledì, luglio 23, 2008
Liò di Mark Tatulli
Se dovessi definire sinteticamente la strip che vi raccontiamo oggi non avrei dubbi nell'usare la parola "diagonale". La stranezza e la singolarità infatti sono le chiavi di lettura per comprendere Lio di Mark Tatulli, una strip che fa dell'immaginazione sfrenata la sua peculiarità, ponendosi nel panorama delle strisce contemporanee in modo difficilmente catalogabile. Non è solo diversa o surreale o originale, è... trasversale, appunto, costruita com'è su basi talmente personali da rischiare di tracciare persino canoni e strutture narrative del tutto nuove.
Nata nel 2006 e battezzata al cospetto del grande pubblico precisamente il 15 maggio dello stesso anno, è comparsa da subito in 100 quotidiani tra cui: il Los Angeles Times, lo Houston Chronicle, il Chicago Sun-Times, ecc fino ad arrivare ai 150 in pochi mesi e, ad oggi, superare i 300.
Certo è un bel record per un prodotto che ha abbandonato parecchi canoni consolidati per la via, folle, della più libera espressione della fantasia. E parlando di fantasia era immancabile la presenza di un bambino, star incontrastata della striscia. Lio è vivace, ma non solo. È su un altro piano rispetto alla realtà. È un Little Nemo che i sogni (o gli incubi) se li vive nel quotidiano: ti può capitare di vederlo con gente a due teste, con rinoceronti, piovre, robot, alieni e bestie di ogni tipo oltre che con personaggi di altri comics (tra gli ultimi lo scatenato Calvin di Calvin & Hobbes o Braccio di Ferro a cui spaccia di notte gli spinaci o Dick Tracy e tanti altri).
Davvero ogni giorno non si sa cosa aspettarsi: il più delle volte è semplicemente un bimbo a cui piace giocare, divertirsi, fare scherzi. Una delle sue vittime preferite è il suo papà. Lio vive con il padre ma è senza mamma. Entrambi hanno uno strano ciuffo in testa, capelli dritti dritti sulla fronte a seguire una moda tutto loro, fuori dal mondo. Ne capitano di tutti i colori e ad avere un bimbo così c'è nè abbastanza per uscire fuori di testa e dare i numeri. Invece il papà (continuo a chiamarlo solo così perchè non ha nome) il più delle volte subisce accettando da buon genitore le diavolerie di suo figlio.
Ricorrenti e caratteristiche sono le situazioni macabre o comunque legate alla morte, con zombi, fantasmi, mostri, "cose" non meglio identificate e, dulcis in fundo, la Morte in persona. Individui dentro a pentoloni che bollono, insettacci che attaccano bambini, orchi che rapiscono neonati, gente con la coda a freccia al supermercato. Non c'è da stupirsi visto che, a detta dell'autore, le influenze maggiori arrivano da tre illustratori del tutto fuori dagli schemi: il famoso Charles Addams, autore della ben più famosa Famiglia Addams, il sinistro Edward Gorey con i suoi macabri disegni e Gahan Wilson e le sue surreali creazioni.
A lungo andare questa "pazzia" porta il lettore a distaccarsi dalla realtà finendo ubriacato dalle trovate fantastiche che ogni giorno gli vengono proposte. Tatulli ha davvero una fantasia incontenibile gridata ad alta voce attraverso un tratto un po' retrò, poco "preciso" tanto che sembra nato di getto direttamente dall'inchiostro alla carta (l'autore però afferma essere per lui un procedimento tutt'altro che semplice e immediato) così tanto efficace però da permettere alla strip di sopravvivere senza dialoghi e parole. La sua, ve ne sarete accorti, è infatti una strip muta.
Il talento e l'estro sono stati più volte associati al genio di Bill Watterson. Comunque è un'inventiva di tutt'altra estrazione che va oltre le trovate pur sempre scatenate del duo più famoso del mondo. In alcune situazioni Calvin impallidirebbe solo a pensarci. Basta questa strip qui sotto per renderci conto di come sia facile giocare per Tatulli con tutto e con tutti, dissacrando sempre le sue "vittime".
(pensare che il piccolo Calvin sia davvero morto scivolando con il suo tigrotto di pezza da una discesa troppo ripida, la più ripida di tutte, non vi ha lasciato con un brivido lungo la schiena?)
In un' intervista l'autore spiega questa tendenza dark di Lio come una conseguenza dell'essere bambini, sostenendo infatti che i piccoli siano tra le creature più impressionabili e paurose del mondo, pieni come sono di stimoli esterni che li spaventano e li fanno, a modo loro, riflettere. Così come in tanti grandi classici Disney -giusto per citare il marchio più famoso- il tema centrale e scatenante rimane il male, (pensiamo a Bambi che perde la mamma, a Nemo che si separa dal papà, alla strega di Biancaneve e alle sorelle cattive di Cenerentola, ecc) anche in Lio, il "lato oscuro" prevale su tutto. Solo quando si diventa grandi, spiega Tatulli, ci si difende dietro alla ragione e alla razionalità perdendo parte di tutte quelle genuine emozioni primordiali che in qualche modo ci mettono in contatto con tutto il nostro essere.
È possibile reperire sul web la maggior parte del materiale dei lavori di Mark Tatulli. Visitando ad esempio il sito della GoComics (la stessa di Cul de Sac di Richard Thompson) si possono sfogliare le strip giornaliere proposte e un breve archivio, mentre su Amazon è disponibile la prima raccolta di Lio (del 2007) e si puà già prenotare quella in uscita ad agosto di quest'anno. Inutile dire che nessuna versione italiana - per quanto sia pochissimo il testo - ci risulta sia stata ancora proposta.
Per completezza aggiungiamo che l'autore non è alla prima esperienza nel mondo delle strip, porta la sua firma anche Heart of the City. Completamente diversa da Lio nel genere e nello stile, ha ottenuto un discreto successo, anche se non paragonabile alla sua ultima creatura. Di Heart of the City (magari ne parleremo più approfonditamente in futuro) esiste una sola raccolta che racchiude il primo anno di lavoro, uscita nel 2000.
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venerdì, luglio 11, 2008
Professor Nimbus di André Daix
(articolo a cura di Umberto Randoli)
Questo è un articolo trasversale: parte da un post di Luca Boschi per continuare qui su Balloons. Vogliamo anche noi parlare del professor Nimbus di André Daix, un personaggio molto popolare in Francia, poco conosciuto dalle nostre parti.
È una silent strip dalla lunga e travagliata vita: esordio sulle pagine de "Le Journal" il 16 settembre 1934, conclusione su "La Voix du Nord" (in Francia) e su "La Meuse" (in Belgio) nel 1991.
La striscia è stato pubblicata in molti paesi, ma non ci risulta sia mai arrivata in Italia.
Nimbus è un uomo elegante, calvo, con un unico capello a forma di punto interrogativo. Agli inizi il personaggio era un insegnante, il classico studioso con la testa sempre tra le nuvole, persa tra equazioni ed invenzioni bislacche dagli esiti spesso disastrosi.
Con il tempo le caratteristiche sono cambiate: pur mantenendo il titolo di professore ha abbandonato l'insegnamento per ricoprire i diversi ruoli necessari alla gag finale. Si passa dalle classiche situazioni comiche al non-sense più scatenato. Pur affrontando mille disavventure la sua figura non è quella del perdente. Anzi molto spesso è lui che manovra tutta la situazione cercando di pilotare gli eventi in suo favore. Ovviamente si tratta sempre di strip in uno stile garbato come l'epoca imponeva.
La classica forma orizzontale è arrivata solo in un secondo tempo, Inizialmente occupava una griglia di 3 vignette orizzontali per 2 verticali, una per il titolo e 5 vignette per la strip. Questo permetteva a Daix di sviluppare delle ministorie. Se necessario riusciva anche a ricavare vignette extra pur mantenendo inalterata la griglia.
Nel 1934 Paul Winkler direttore dell'Opera Mundi (agenzia di stampa da lui fondata alla fine degli anni '20) propose a Daix di realizzare una strip. Inizialmente il nome del personaggio doveva essere Professeur Stratos, ma quando apparve sul quotidiano "Le Journal" il 16 Settembre 1934 il protagonista mutò in Professeur Nimbus.
Le prime tavole non avevano una periodicità regolare, il passaggio alla strip quotidiana arrivò solo dal 18 gennaio 1935. Il successo fu immediato tanto che già dal 1936 cominciarono ad uscire dei volumi che raccoglievano le strip e, sempre nello stesso anno, venne realizzato un cartone animato.
Non avendo bisogno di traduzioni, oltrepassò subito i confini francesi. Ad esempio nel 1936 fu pubblicata in Turchia, dove il professore venne rinominato "Tektel Amca", ovvero lo zio con un solo capello. Nel 1938 venne sindacata dalla KFS ma la strip fu diffusa solo su qualche quotidiano locale. Con l'invasione nazista della Francia, la serie si interrompe: l'11 giugno 1940 le pagine de Le Journal vedono l'ultima apparizione di Nimbus. Nel 1943, senza l'autorizzazione della Opera Mundi, Daix riprende a disegnare Nimbus che viene pubblicato su Le Matin, dal 27 marzo 1943 fino alla nuova interruzione il 17 agosto 1944.
Dopo la Guerra Winkler riprende la strip affidandola a vari disegnatori celati dallo pseudonimo collettivo Jean Darthel. Il 25 giugno 1946 la strip ritorna sulle pagine de Le Figaro. Alcuni dei cartoonist nascosti dietro questa firma sono noti. Tra gli anni 70 e 80, si sono succeduti Robert Velter (Assistente di Branner per "Winnie Winkle" e creatore del personaggio Spirou), Lefort (di cui si conosce soltanto questo lavoro). Pierre le Goff (il disegnatore di 'Coplan FX-18' e di molte altre serie) disegnò il professore dall'1981 fino alla fine della serie.
Non si sa chi abbia realmente disegnato le strip degli anni '50 e '60. Qualcuno indicò il nome di Léon de Enden, disegnatore poco conosciuto, ma c'è anche l'ipotesi che lo stesso André Daix abbia continuato la serie: questo spiegherebbe anche la necessità di uno pseudonimo per il "nuovo" disegnatore dato che Daix all'epoca era ricercato per collaborazionismo, come vi racconteremo tra poco.
Complessivamente nei 57 anni di vita del personaggio sono state realizzate 13.111 strisce.
André Daix (21/1/1901 - 27/12/1976, Francia), il suo vero nome era Andrè Delachenal, inizia la sua carriera nel campo dell'animazione realizzando , tra la fine degli anni '20 e i primi anni '30, una serie di cartoni animati con protagonista un ippopotamo di nome Zut. Nel 1934 ideò la serie del "Professeur Nimbus" e iniziò una fruttuosa collaborazione con l'Opera Mundi. L'agenzia commissionò all'autore altre strip. Oltre a Nimbus realizza "Les Fratellini" (su Ric et Rac, 1935-37) i cui protagonisti erano tre noti clown dell'epoca, "Saladin" (su Marseille Matin, 1937-39), 'Chiffonnette' (in Paris-Soir, 1939-40), 'Pollycarpe' (in L'Auto 1939).
Con l'invasione della Francia nel 1940 l'accordo tra Winkler e Daix si interrompe. Mentre il primo emigra negli Stati Uniti, il secondo decide di restare nella Francia occupata e realizza 'Le Baron de Crécus' (su Le Matin, 1940-43), di fatto un clone di Nimbus con la differenza di un naso paonazzo e, ora, due capelli a punto interrogativo.
Daix finisce poi per abbandonare questa variante nel 1943 e, sempre sulle pagine de Le Matin, ritorna con nuove strisce di Nimbus, non autorizzate dall'Opera Mundi titolare dei diritti.
Accusato di aver collaborato con i nazisti e condannato a morte (pena poi commutata in 20 anni di carcere) si rifugia in Portogallo assumendo l'identità di Albert André Maniez. Trascorre l'esilio tra il Portogallo e l'America del Sud continuando a lavorare nell'illustrazione e il fumetto firmandosi Maniez e Gislo. Dopo il colpo di stato in Portogallo del 25 aprile 1974 decide di tornare in Francia (anche perché intanto alla fine del 1953 era arrivata l'amnistia per i reati di guerra) dove morì pochi anni dopo.
Chi volesse leggere le strip del professore deve necessariamente rivolgersi al mercato del fumetto di antiquariato o al classico e-bay. Per la Hachette sono usciti sei volumi di 18x24 96 pagine tra il 1936 e il 1939. Il Giornale "Le Matin" pubblicò un volume nel 1943.
Ovviamente sono raccolte di difficile reperibilità e abbastanza costose. Più facile da trovare invece l'edizione più recente curata dalla Futuropolis nel 1985: "Les aventures du Professeur Nimbus" (1934-1940), un libro cartonato di grande formato ( 108 pagine, 31.5 x 24.8 cm) con una esauriente introduzione di Jean-Claude Glasser.
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